sabato 6 agosto 2011

Le copertine dei dischi, un’arte in via d’estinzione

L’avvento della musica digitale ha chiuso definitivamente l’epoca d’oro delle cover art.
“La copertina di un disco viene prima della musica”. Queste furono le parole che mi disse l’allora discografico del mio gruppo quando mi presentai a lui con il master finale del nostro primo album. Restai sbalordito da tale dichiarazione, io fino a quel momento avevo pensato solo alla musica. Mi aveva chiesto quali idee avessimo per la copertina e io gli avevo risposto che non ne avevamo nessuna. Allora mi spiegò che, prima ancora di mettere un disco sul piatto (ma nella sua mente forse c’era anche “prima di comprarlo”), un ascoltatore osserva la copertina, ne resta suggestionato e già da lì deve capire quale musica andrà ad ascoltare. Quindi, in una semplice sequenza temporale, la copertina di un disco viene prima della musica. Col senno di poi, parole sante! Bei tempi quelli: la copertina era una parte importante della cultura musicale, c’erano ancora gli LP in vinile e le grafiche erano dei veri e propri quadri, che potevano essere appesi ad un muro. L’artwork (o cover art) ha reso celebri alcuni dischi tanto quanto la musica che contenevano. Sicuramente un mezzo per incentivare la vendita, ma soprattutto un’espressione dell’intenzione dell’artista. Le copertine semplici o apribili, con inserti artistici, con dentro il foglio dei testi e le fotografie del musicista, hanno fatto diventare l’album discografico un’attraente opera d’arte. Sono stati usati fogli di giornale, cartone grezzo, box metallici, ologrammi, copertine forate, copertine poster, chiusure lampo… sono state inserite nel package fotografie, cartoline, gadgets, spille, poster. Insomma, la fantasia ha avuto in questo campo un ampio sfogo.

All’inizio, negli anni ’20, i primi album in vinile a 78 giri venivano inseriti in fogli di carta per poter essere protetti da urti e polvere, un foro centrale permetteva di leggere l’etichetta con l’autore e i titoli dei brani. In seguito questi fogli di carta vennero sostituiti da cartoncino per permettere al disco di reggersi in piedi, visto che, impilati l’uno sull’altro in orizzontale, rischiavano di rompersi. Nel 1938 ci fu la svolta: Alex Steinweiss, art director della Columbia, decise di cambiare le copertine di cartoncino marrone, usate fino ad allora, con opere colorate che rendessero l’idea della musica che era contenuta nel vinile. Fu un successo enorme, il nuovo packaging e le illustrazioni rilanciarono l’industria musicale e le vendite aumentarono con percentuali dell’800%. Da quel momento in poi fotografi, pittori, filosofi e graphic desingners si sono cimentati nella realizzazione della copertina più affascinante, accattivante, interessante, che esprimesse appieno con le immagini e i colori quello che il musicista esprimeva attraverso le note. Negli anni ’60 e ‘70 le copertine ebbero un’esplosione di forme e di colori, si usarono i materiali e gli oggetti più diversi, ma anche le sagome, in alcuni casi, subirono delle variazioni: tonde, triangolari, doppie, triple. Negli anni a seguire addirittura il vinile stesso è stato colorato, reso trasparente e infine disegnato (i meravigliosi picture disc).

Poi, negli anni ’80, è arrivato il compact disc e c’è stata una piccola rivoluzione dell’artwork: la superficie dedicata all’immagine di copertina venne a ridursi notevolmente, ponendo ai grafici delle nuove sfide. Il libretto, quadrato anch’esso e di dimensioni di circa un terzo dell’LP, era contenuto nel famigerato “jewel box” in plexiglas, fragilissimo e solito andare in pezzi alla minima caduta nella parte più delicata, la cerniera. Alcune ristampe fatte da LP a cd non hanno superato brillantemente il test della “riduzione”, come ad esempio in Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles, con i personaggi alle spalle del gruppo miniaturizzati, o in The Garden di John Foxx, dove l’artista, rimpicciolito, sparisce tra gli alberi. Ma nelle nuove produzioni si è per forza dovuto tener conto di questo fattore e in alcuni casi i risultati sono stati brillanti, come in Love Deluxe di Sade o Wakafrika di Manu Dibango. Anche qui tante sono state le soluzioni artistiche, specie per quanto riguarda il libretto, dai semplici due foglietti a veri e propri tomi di diverse pagine legate da due puntine o piegate su se stesse “a fisarmonica” tre, quattro o più volte. Certo, l’avvento del cd resta un brutto colpo per gli estimatori del vinile e, soprattutto, delle grandi copertine cartonate, quelle opere che in molti casi avrebbero meritato di essere appese ad un muro come quadri, ma questo era nulla in confronto a quello che sarebbe accaduto nel nuovo millennio.

L’avvento della musica digitale, degli mp3, ha di fatto ucciso l’artwork degli album musicali. Le canzoni hanno iniziato a correre sul web da un PC all’altro in forma di files compressi. Se i puristi del suono ritenevano che il passaggio dal vinile al compact disc avesse penalizzato la qualità dell’audio, generando delle polemiche tra i due schieramenti, con l’mp3 la qualità ha subito senza ombra di dubbio un drastico crollo. Ma è soprattutto la copertina, insieme a tutto il supporto fisico, ad essere stata sacrificata al dio progresso. Molti album oggi giacciono sugli hard disc dei computers in anonime cartelle e privi dell’immagine grafica con cui l’artista aveva voluto comunicare all’ascoltatore il suo universo. Il noto grafico inglese Peter Saville, autore di storiche copertine per gruppi come Joy Division, New Order, Ultravox, OMD… qualche anno fa denunciava sulle pagine dell’Independent On Sunday che l’immissione sul mercato di mp3 players aveva definitivamente ucciso “l’arte di produrre copertine dei dischi”. L’ex designer della Factory affermava in quell’articolo: ”Un tempo le copertine dei dischi rappresentavano una finestra su un mondo parallelo, mentre oggi il mercato discografico le ha rese obsolete tramite la produzione di supporti praticamente inesistenti. Se la loro funzione non verrà recuperata, ci troveremo con l’aver perso una parte fondamentale del mondo musicale”. L’appello, al momento, sembra caduto nel vuoto. Per i giovani d’oggi la musica è una collezione di file mp3 ben organizzata sul PC, magari scaricata illegalmente con eMule, completa di scansione in formato jpg di fronte, retro, interno e immagine sul disco dell’originale supporto cd. Per chi trova un album mp3 senza la copertina, sono nati appositi siti web come All Cd Covers, gestito direttamente dalla sua community. Qui gli utenti caricano le copertine di cui dispongono, gli altri le votano garantendo così una sorta di “controllo qualità” che premia i files con una risoluzione più elevata. Album Art Search, invece, si è auto-proclamato come “il più grande archivio di cover del mondo“ ed al suo interno è possibile trovare, oltre alle copertine, anche torrent, trailer e sottotitoli relativi ai termini di ricerca inseriti.

Sono dunque lontani i tempi in cui si poggiava il vinile sul piatto e, mentre la musica fluiva, ci godevamo le immagini della grafica di copertina e leggevamo i testi delle canzoni, completamente immersi in quel mondo fantastico. Oggi la rivoluzione digitale, positiva o negativa la si voglia giudicare, ha obiettivamente penalizzato l’arte dell’immagine legata alla musica, riportandoci negli anni ’20 e ‘30, ai 78 giri avvolti in anonimi fogli di carta. Ad una sovrabbondanza di materiale a disposizione a seguito di questa “democratizzazione” della musica, non ha corrisposto una maggiore e approfondita analisi dell’album discografico, sia nelle sue parti musicali, sia nelle sue parti grafiche, contribuendo ad innescare quella crisi che attanaglia il settore dai primi anni del nuovo millennio. Non so quale sarà la prossima rivoluzione nel mondo della musica, ma qualsiasi essa sarà, spero darà di nuovo spazio all’arte delle immagini.

Collegamenti:
Le copertine più belle della storia
Le copertine più brutte della storia