domenica 9 maggio 2010

Interviste: Icydawn

The art of noise

Se la Svizzera ci porta alla mente montagne innevate, prati verdissimi, mucche al pascolo e colate di cioccolato, da oggi in poi ci dovrà far pensare anche alla migliore musica industriale in circolazione. Questo grazie alla one-man-band Icydawn, sigla dietro la quale si nasconde il ticinese Sacha Rovelli, artista che, chiuso nella sua “claustrophobic room” (personale saletta di registrazione), smanetta con PC, tastiere e campionatori per creare suoni elitari che vanno dal rumorismo più estremo ad un synth-pop destrutturato/ristrutturato, ritmato e coinvolgente. Personaggio schivo, è riuscito comunque ad ottenere l’attenzione della critica musicale grazie a lavori casalinghi autoprodotti come "A Matter Of Deathstyle PT. 1" e “Humaintelligencearthcancer”, in edizioni limitate e dalle grafiche particolarissime, fino a giungere al cd “Il tagliacarte, l’angelo, i fantasmi”, in collaborazione con l’artista italiana Aimaproject, uscito per l’etichetta svizzera Show Me Your Wounds. Il movimento nato attorno al nome Icydawn non è sfuggito all’occhio della neonata etichetta italiana Revenge Records, che lo ha messo sotto contratto per produrre un interessante album intitolato “A Personal Collection Of Demo(n)s”, selezione di brani della sua produzione passata. Scambiamo quattro chiacchiere con Sacha su passato, presente e futuro di Icydawn.

Parliamo delle origini, ossia cosa c’era prima di Icydawn: le esperienze musicali e i gruppi di Sacha Rovelli.
Beh, qui devo tornare indietro di molti anni, se vogliamo veramente partire dall’inizio. Era credo il 1990 o il 1991, quando con tre amici ci mettemmo in testa di formare un gruppo; in un minuto decidemmo chi avrebbe suonato cosa e nel giro di poche settimane trovammo degli strumenti a poco prezzo, una sala prove - più simile a una discarica - e iniziammo (da notare che l’unico che avesse una vaga idea di cosa stesse facendo era il tastierista, avendo studiato pianoforte da bambino). Iniziammo in totale una decina di pezzi, senza mai veramente portarne uno a termine. Il sound era una sorta di new wave-pop rudimentale, estremamente sporca e ossessiva, con tuttavia (col senno di poi) un non so che di accattivante… Noi eravamo i Frogs In The Fog, tanto lugubri quanto autoironici, pieni di aspettative e il più vecchio di noi non arrivava a vent’anni. Dopo questa esperienza, durata forse un paio d’anni e che mi fece decidere che l’approccio passivo alla musica era troppo limitativo, tentai una collaborazione con un amico che a metà anni novanta produceva cassette di musica industriale con vari pseudonimi (Ars Moriendi, Macerie di Carne, Ìade, …), ma con scarso successo, essendo io ancora troppo legato a certi canoni musicali e lui invece molto più incline alla sperimentazione pura. Creammo infatti un ibrido melodico-rumoristico rimasto senza nome né futuro. L’unica altra esperienza che mi ha lasciato dei buoni ricordi e un certo rimpianto è stata quella della mia entrata in un’altra formazione new wave già ottimamente avviata e rimasta improvvisamente senza chitarrista. Si trattava di preparare poche canzoni per un’esibizione live a Lugano in tempi piuttosto brevi. Mi sentii subito in sintonia con le loro idee e i loro pezzi e già dopo le prime ore di prova mi ero integrato nella formazione. Purtroppo successe che un altro elemento si staccò dal gruppo improvvisamente, lasciandoci senza sala prove e questo mise definitivamente la parola fine anche a questo capitolo.

Cosa ti ha spinto poi a chiuderti nella “claustrophobic room”, buttarti sulla sperimentazione industriale e diventare Icydawn?
In realtà il concetto di “stanza claustrofobica” nasce dal fatto che quando iniziai a registrare i miei primi suoni, vivevo in un appartamento piccolissimo e la mia strumentazione era sparsa ovunque ci fosse un minimo di spazio, con cavi tesi ovunque a rendere impossibile il passaggio. Il mio stereo di allora era perennemente smontato a metà, essendo l’unica cosa che mi permettesse di registrare e la TV microfonata in pianta stabile. Icydawn come progetto è nato per caso. Rimasto a casa con una chitarra e un vecchio mixer, iniziai a lavorare di fantasia e a mettere assieme registrazioni “private”, fatte prima esclusivamente di chitarra utilizzata nei modi e con l’ausilio degli oggetti più improbabili, aggiungendo poi suoni e dialoghi presi da film, grazie all’arrivo di un microfono. Man mano che andava aumentando la strumentazione, andavano delineandosi dei pezzi che avevano una loro struttura. Decisi di lasciare che Icydawn prendesse vita propria, quando vidi che le mie registrazioni venivano apprezzate. Da qui assemblai una prima cassetta demo, poi andata persa, o più probabilmente cancellata per errore, e subito dopo il CDr autoprodotto “We Are The Lie Which Lives Upon Itself”, completamente registrato in “presa diretta”, una sorta di live in studio.

Parlaci della tua strumentazione: in che modo riesci a creare questi suoni così originali?
La mia strumentazione è al limite dell’essenziale: chitarra, basso, microfono, un sintetizzatore GEM S2 dei primi anni ’90, un piccolo multi effetto, un Kaoss Pad e qualche pedale per chitarra. Per creare i suoni spesso basta affidarsi all’idea primordiale, collegare gli effetti in modo istintivo e cercare di arrivare il più possibile vicino al suono che esprima il concetto che mi gira in testa. Per registrare utilizzo un programma che lavora esclusivamente audio, ma che mi permette di creare dei loop dai suoni che registro. Questi loop vengono a volte masterizzati su CDr e reimportati filtrandoli ulteriormente. Raramente, per poter utilizzare suoni che presentino manipolazioni più radicali, utilizzo anche un emulatore. Ma non è questo il modo in cui mi piace lavorare.

Mi hai raccontato che, all’inizio, appena prodotti i primi pezzi, li registravi su cd e li sigillavi applicando un cerotto con su scritto Icydawn, in modo da non poterli ascoltare più. Che cosa è successo poi per decidere di confrontarti con il pubblico e cominciare a far circolare i tuoi primi lavori autoprodotti?
In realtà erano cassette registrate rigorosamente in presa diretta, poi sigillate e ammucchiate chissà dove. Una sola di queste ha rivisto la luce e i pezzi che ci ho trovato sono diventati il miniCDr “Monodrawnings”, realizzato in quattro copie, confezionato in un imballaggio per mutande e regalato alle persone che mi hanno aiutato (chi convincendomi, chi mettendo a disposizione la propria apparecchiatura per realizzare il master) a dar vita a "We Are The Lie Which Lives Upon Itself". Fu appunto l’approvazione di alcune persone a convincermi che il mio materiale doveva venir messo a disposizione della gente. Cosa che non mi ha mai pienamente convinto, in tutta sincerità.

Com’è nata la collaborazione con l’artista italiana Aimaproject e qual è stato il percorso che ha portato alla realizzazione del cd "Il tagliacarte, l'angelo, i fantasmi" per l’etichetta Show Me Your Wounds?
Conobbi Aimaproject personalmente per una serie di casi e conoscenze comuni, anche se artisticamente la seguivo già da tempo. Dopo averle passato il mio materiale prodotto fino a quel momento, mi chiese di poter utilizzare dei miei pezzi come basi per dei reading. A quel punto le proposi di creare dei tappeti sonori composti appositamente per le sue performances e da quest’idea nacquero invece dei pezzi strutturati attorno ai suoi testi, da una parte dei quali decidemmo di ricavare appunto ”Il tagliacarte, l’angelo, i fantasmi”, che avrebbe dovuto rappresentare la prima di una serie di collaborazioni (quella dedicata alla malattia mentale). Malgrado tutte le musiche per un secondo mini-CD “Tempus Edax Rerum” (lavoro questa volta centrato sul passato e sui segni che ne portiamo) fossero già pronte, certi fatti recenti mi hanno fatto accantonare definitivamente l’idea di continuare questa collaborazione.

Parlando di Icydawn è impossibile non menzionare le particolari confezioni dei suoi cd, delle vere e proprie opere d’arte, come la confezione di metallo di "A Matter Of Deathstyle PT. 1" o il cartoncino nero serigrafato in argento de "Il tagliacarte, l'angelo, i fantasmi", con i testi avvolti in una garza medica. Come nasce questa tua passione per le confezioni originali e le edizioni limitate? Quale confezione ti piacerebbe realizzare in futuro che non sei riuscito a fare sino ad ora?
In realtà le confezioni particolari sono una peculiarità del movimento industriale e in questo posso solo dire di aver preso spunto dai maestri del passato (fatta eccezione per la copertina de “Il Tagliacarte, L’Angelo, I Fantasmi”, che è stata curata al 99% da Aimaproject e che ha avuto il privilegio di un budget molto più alto delle mie precedenti autoproduzioni). Il fattore edizione limitata per me è una sfida. Una volta esaurite le copie, solo chi veramente vuole un disco originale si darà la pena di andarlo a cercare, magari rischiando anche di trovarlo. Mi ha sempre affascinato l’idea della quasi impossibilità di completare una collezione, perché determinati pezzi sono introvabili. Anche se un giorno il vecchio materiale verrà completamente ristampato, non sarà la stessa cosa per un collezionista! Per quanto riguarda le confezioni future, non ho particolari idee di sensazionalismo, anche perché le cose più estreme sono già state fatte da altri musicisti. L’imballaggio, per quanto mi riguarda, solitamente procede di pari passo con la musica, sono due concezioni che si compenetrano e si sviluppano parallelamente.

Con la raccolta “A Personal Collection Of Demo(n)s”, uscita per l’italiana Revenge Records, hai messo un punto fermo sul tuo passato, assemblando il meglio delle tue produzioni in un solo cd. Con quale criterio hai selezionato i brani?
In realtà la selezione è stata una cosa un po’ frettolosa, che mi ha comunque permesso di non ripensare e quindi ricensurare quello che era stata l’idea iniziale. Ho tentato di creare un sentiero tortuoso attraverso il quale l’ascoltatore potesse trovarsi regolarmente spiazzato da un susseguirsi di strutture e concezioni completamente diverse una dall’altra, senza tralasciare neanche una sfumatura dei vari percorsi musicali intrapresi negli anni. Ho comunque tentato di fare in modo che ogni lavoro precedente alla “Collection” mantenesse dei suoi pezzi caratteristici, non finiti nella raccolta. Anche per rispetto verso chi si è dato la pena di procurarsi delle autoproduzioni quasi per niente distribuite.

Paradossalmente, per un disco così importante per la tua carriera come “A Personal Collection Of Demo(n)s”, hai optato per un cd dalla confezione standard, ma hai riservato a pochi fans un’edizione limitata di 100 copie in confezione speciale: parlaci di quest’opera.
L’idea dell’edizione standard è stata più una questione di coerenza da parte dell’etichetta, piuttosto che una mia scelta. Anche se in effetti avrei trovato un po’ paradossale creare una “chicca” di questo genere in ben 5000 copie! Ho comunque sentito il bisogno di lavorare “fisicamente” anche a questa raccolta, aggiungendo a un piccolo numero di copie del CD standard una serie di inserti “commemorativi” dei vecchi lavori, che riproducono infatti le copertine, i testi e le bozze dei testi utilizzate durante le registrazioni (almeno quelle ritrovate), un mini-CD con un lungo pezzo rituale che avevo messo assieme per un lavoro dedicato alle “Nozze Chimiche di Christian Rosenkreuz”, poi accantonato, confezionando poi il tutto a modo mio. Con l’unico rammarico che l’imballaggio va a coprire lo splendido quadro di J. J. Busolini che ho scelto come immagine di copertina. Ma è anche vero che le cose belle vanno cercate!

Icydawn è un progetto nato e vissuto esclusivamente in sala di registrazione, ma molti ti vorrebbero vedere dal vivo: hai dei progetti in tal senso?
La dimensione live mi attrae e al contempo mi terrorizza. Il confronto diretto con il pubblico non è nella mia indole. Se poi consideriamo che Icydawn era inizialmente destinato a essere un progetto e una sorta di alterego strettamente personale, direi che il passo fatto finora è già abbastanza lungo. L’idea del live comunque è tutt’altro che accantonata. In seguito alle varie richieste avevo anzi iniziato a progettare una performance, che mi permettesse di presentarmi senza basi prefabbricate. Il che avrebbe però portato la formazione ad almeno quattro elementi, facendo di Icydawn una vera e propria band; questo avrebbe tra l’altro significato dover smontare lo studio, trovare una sala prove e iniziare a provare con regolarità. In alternativa avevo pensato a una performance solitaria più simile a un DJ set disturbante, fatto di basi, effetti e manipolazioni live, in cui il materiale realizzato finora sarebbe stato utilizzato solo subliminalmente… prima o poi dovrò affrontare la cosa e probabilmente la formula che sceglierò sarà un mix delle due idee esposte sopra..

Che cosa ha ascoltato in passato Sacha Rovelli e quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato? E oggi cosa ascolti?
I miei ascolti sono iniziati nei primi anni ’80, quindi l’evoluzione è partita dalla musica radiofonica, con un amore particolare per Prince e Simply Red, poi sviluppatosi grazie a un minimo di ricerca in territori più sotterranei. Dopo la scoperta dei capolavori della new wave, mi sono ritrovato sempre più curioso riguardo a formazioni come Clock DVA, Cabaret Voltaire, TG, Residents, il che mi ha portato nei territori allucinanti dell’avanguardia, delle autoproduzioni e della musica e della cultura industriale. Qui credo di aver trovato il picco massimo dell’espressione slegata da ogni legge commerciale e spesso addirittura da ogni logica. Ancora oggi sono alla ricerca di vecchi gruppi new wave, rimasti per me sconosciuti all’epoca, di una certa avanguardia rock degli anni ’70 e di gruppi interessanti nel mare della musica industriale, con sempre un orecchio di riguardo alla scena italiana. In particolare quella rituale iniziata da Ain Soph, Sigillum S, Rosemary’s Baby…

Penso che molti dei nostri lettori siano curiosi di sapere come sia la scena alternativa svizzera, vuoi parlarci dei generi e dei gruppi che hanno maggior riscontro nel tuo paese?
Premetto di non essere un grande conoscitore della scena alternativa svizzera, ma se parliamo del circuito dei concerti nei pub e nelle cantine, qui metal e punk sono i generi che sono sempre andati per la maggiore, fatta eccezione per gruppi già più affermati, come ad esempio i Peter Kernel, che fanno un rock alternativo molto interessante. Per quanto riguarda invece la scena industriale, posso dire che ci sono stati parecchi progetti anche interessantissimi, ma che sono purtroppo scomparsi. La scena più viva e più in vista attualmente credo sia quella di Zurigo, da cui vengono Roger Rotor, Myiase, Black Sun Productions e tutta una serie di progetti di elettronica oscura. A livello ticinese posso continuare a citare solo Stendeck; un progetto IDM estremamente apprezzato e che ha guadagnato grande visibilità internazionale e gli originalissimi Nufenen, di ispirazione molto più avanguardistica (in stile Wallace, per dirla in termini italiani), con soventi innesti di rock pesante.

Un’ultima domanda d’obbligo: quali progetti ha in serbo Icydawn per il prossimo futuro?
Innanzitutto la pubblicazione dei pezzi appena realizzati per la mostra “Guerre - dieci anni di immagini” del giornalista ticinese Gianluca Grossi. L’idea iniziale, forse un po’ megalomane, è di realizzare un vinile-catalogo, com’era in uso negli anni ’70, sulla scia dei primi lavori di Hermann Nitsch. Se ne sta occupando un amico a cui piacerebbe darsi alla produzione, iniziando proprio con questo mio lavoro. Ho ancora in sospeso anche il mio progetto “Tape Musick”, di cui ho voluto anticipare qualcosa nella “Collection Of Personal Demo(n)s”, che dovrebbe essere composto interamente da frammenti di idee grezze, raccolte in una cassetta da 60 minuti. Molte molte altre idee vagano grezze nell’aria, ma tempo ed energie non mi permettono di dar loro forma. Vedremo quante e quali per prime verranno sviluppate. Nel frattempo sto lavorando con Siberia (la cantante originale del progetto Icydawn) e con quella che dovrebbe diventare la chitarrista live fissa del gruppo a un video dalla struttura molto “rock” per la canzone “Trends”, che verrà realizzato dal regista Daiano Lazzarotto, anche lui ticinese.



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Ascolta gratuitamente il brano Trends

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mercoledì 5 maggio 2010

NEWS – Gli Stardom firmano per Danze Moderne.

Apprendiamo la notizia da un comunicato stampa dell’etichetta.

Gli Stardom, new wave band milanese di recente formazione (2005) ma che affonda le sue radici in svariati progetti musicali goth/new wave degli anni ’90, pubblicheranno il loro primo album per l’etichetta indipendente Danze Moderne. L’etichetta ne dà l’annuncio con un comunicato stampa nel quale si precisa che il disco conterrà dodici pezzi maturati in questi primi cinque anni di vita e che il titolo complessivo dell’opera sarà “Soviet della moda”. La pubblicazione dovrebbe avvenire il prossimo autunno (ottobre). Gli Stardom, con all’attivo una partecipazione prestigiosa all’antologia della musica oscura “United Forces of Phoenix vol 2” della Nomadism Records e un singolo digitale intitolato “Vetroplastica”, si sono distinti per aver suonato insieme a gruppi del calibro di Christian Death, Clan Of Xymox, Spizz, 999, Krisma e promettono di rinverdire i fasti di un genere che ha espresso negli anni ’80 le sue massime potenzialità.


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